Racconto breve

Lui

Racconto breve

A Parigi con un soci a far finta di avere un futuro

2013

 

“Allora leggo.”
“Vai, io fumo una sigaretta.”

“Ma vuoi che leggo ad alta voce?”

“No macché. Anzi sì, mi piacerebbe. Mantieni un tono alto che c’è musica forte.”

“Non ti prometto nulla.”

“Beh ma se leggi ad alta voce vale la pena che tu lo faccia bene.”

“Oh, è roba tua, no? Già la conosci.”

“A me piace che la si celebri.”

“Sbagli approccio.”

“Leggi, dai.”

“Tempo fa, nel cuore dell’India, un uomo indigente e disperato decise che voleva diventare uno scrittore. Non capiva perché. Non aveva studiato e non aveva letto nemmeno un libro nella sua vita, perché era analfabeta. Semplicemente secondo lui, dare un senso ai giorni significava pensare alle parole, alle frasi, alle storie scritte. Era così, senza inganni né sorprese, senza pretese. Non raccontò mai a nessuno il motivo della sua disperazione. Aveva 23 anni quando provò a iniziare la sua carriera. L’uomo morì a 81 anni e in tutto, in 58 anni, scrisse 14 parole.

Era uno scrittore eccelso, la carta non riusciva a mantenere ferme o assorbite le parole che l’uomo scriveva, erano parole maturate e scelte, che sparavano in mezzo agli occhi. Lui le rileggeva ogni tanto, con parsimonia. Ogni parola gli ricordava dei periodi della sua vita. Un anno ne rilesse un paio. 8 anni dopo ne lesse un’altra. Poi ne scrisse 2 sull’arco di 10 anni e via dicendo. Morì in un centro per indigenti, vicino a uno slum di Nuova Delhi. Prima di morire consegnò a un amico il piccolo quaderno di papiro, con dentro scritte le parole. L’amico una volta uscito dal ricovero lesse tutte le parole in 30 secondi scarsi, scosse la testa e infilò il quaderno nella sua bisaccia di tela. Anche l’amico morì, successe alcuni mesi dopo, rimase investito da un’automobile. La bisaccia con dentro il quaderno con scritte le 14 parole rimase sul luogo dell’incidente per alcune ore, poi venne buttata nella spazzatura da un poliziotto e in seguito bruciata.

Le 14 parole non fuggirono mai, non vennero mail divulgate. Le 14 parole non formavano nemmeno un racconto o una frase, erano state scritte in forma sparsa, non erano state scritte per essere lette da qualcun altro, all’infuori del loro scrittore. Fine.”

“E dunque? Come la vedi?”

“C’è qualcosa che non mi torna. Cioè, c’è più di una cosa che non mi torna.”

“In che senso?”

“Mah. Non so come dirlo. Non fare il permaloso però.”

“No, no, mi sorprende solo che non ti piaccia, è geniale. Ma dimmi tutto, spara.”

“Ma è una palla colossale! Loffio, sdolcinato, direi infantile. A parte che se questo qua era tanto discreto e schivo e taciturno come fai tu a sapere tutte queste cifre sul suo conto e questa idiozia delle 14 parole in 58 anni, che poi alludi al fatto che è disperato ma nessuno ne sa il motivo, ma se non ne ha nemmeno parlato e se non approfondisci le ragioni, allora è superfluo dire che è disperato no? E vale quanto detto prima, ovvero, cioè: che cazzo ne sai tu?”

“Ma è una mia invenzione, io decido!”

“La scrittura non funziona in questo modo. Tu scovi una storia, ma devi rispettare certe logiche. Senti qua: uno che è tanto fottuto da essere analfabeta e mettersi comunque a fare lo scrittore e che tra l’altro scrive 14 parole in 60 anni, va da sé che è disperato no? Cioè, è psicotico, no? Ma perché lo hai inventato a sto coglione? Non ce ne sono abbastanza di sfighe inutili a sto mondo?”

“Ma non capisci? È proprio questo il punto. È estremo, no? Certo che è psicotico, calmati, sembra che ti dia fastidio. Altre osservazioni? Però non essere distruttivo.”

“Ma io non sono affatto distruttivo, solo che se una cosa fa schifo, insomma, c’è poco da girarci attorno. Hai buttato giù sta cosa dell’uomo che scrive con parsimonia e tutto quanto, ma non ti rappresenta. E io dico che se uno non ha nulla da dire può anche astenersi dall’inventarsi qualsiasi cosa gli passi per la testa.”

“Ok, capisco, ma cosa vuol dire?”

“Vuol dire che devi scrivere di quello che sai tu. Anziché rompere le scatole con certe scemenze dovresti andarci tu a vivere di stenti in una bidonville di Calcutta e scrivere non 14, ma 7 parole al massimo, fintanto che crepi, perché se no sei ipocrita, se no la tua scrittura è incoerente con la tua vita, se no scrivi solo per sensazionalismo. Per dirla tutta: sei tu quello che dovrebbe tacere un po’ di più. Ma tu non solo non ce la fai a tacere, no, tu ti inventi perfino la storia di uno psicotico che tace. Non ti capisco. Inoltre scusami eh, ma è scritta malissimo. L’hai buttata giù sul tram e non l’hai più curata. Ammettilo. Ma chi ti credi? Vola basso, prima di far leggere le cose agli altri riguardale e fatti un esame di coscienza.”

“Hei amico, ci vai giù pesante eh? Scusa ma come ragioni? Comunque è Nuova Delhi, non Calcutta, e poi secondo te Herman Hesse era Siddharta? Paulo Coelho le faceva venire tutte in 11 minuti? Se scrivi inventi, no?”

“Io credo davvero che tu non abbia compreso l’essenza di quello che ti sto dicendo. E poi finiscila con questi paragoni assurdi. Sia Hesse che Coelho sapevano benissimo quello che dicevano e i loro testi non facevano acqua. E poi prendi Silvester Stallone: lui era Rocky.”

“Eh?”

“Dico che comunque Silvester Stallone era sportivo, faceva la vita da Rocky o da Rambo, era uno che dava fuori di matto quando si guardava allo specchio e andava in giro a fare il tenebroso con le varie Adriane usando i guizzi dei suoi bicipiti e gli occhi da cane bastonato, così come i personaggi dei quali scriveva.”

“Ma che cazzo stai dicendo? Silvester Stallone? Ma tu sai che lui era un tossico?”

“Perché era?”

“Perché è crepato, no?”

“No, quello è Van Damme.”

“Van Damme era un tossico ma non è crepato.”

“Giusto.”

“Mi sa che nessuno dei due è crepato, ma comunque faccio per dire che c’è sempre una dissonanza di fondo, ed è lì che sta la fregatura.”

“Non dire – dissonanza di fondo – come se fosse un’espressione che usi solitamente. Ecco un altro esempio! Perché non scrivi come vivi? Perché vuoi idealizzare la tua vita?”

“Questa è una bella osservazione, ma io non parlo di me! Io cerco una certa calma quando scrivo, cerco di dare un senso ai miei giorni e poi comunque sai bene che dentro ognuno ci sono tante identità.”

“Ma certo, io sostengo solo che se nella vita sei uno che lascia i piatti sporchi nel lavandino per una settimana, hai poco da scrivere di mezzi guru indiani.”

“Lo so, ma…”

“Ma niente, ma cosa ne sai tu poi degli slum della lontanissima India?”

“Niente.”

“E allora?”

“E allora avrei voluto vedere per quanto tempo lasciava i piatti sporchi nel lavandino Tiziano Terzani.”

“Ma lui mangiava? E poi non aveva una badante, un filippino o qualcosa del genere?”

“Ora non so, dopo guardo in google.”

“Ok. Senti ma hai scritto altre puttanate?”

“Si, appena sotto, guarda.”

“Leggo: il più grande amante del mondo non ha mai avuto una storia d’amore. Oh Gesù Cristo Dio Santissimo, ma veramente? –

“Cosa c’è adesso?”

“Ma come ma cosa c’è? È uguale alla cazzata di prima, solo che si tratta storie d’amore e mancati atti sessuali.”

“Non è affatto vero. Devi vederli come degli estratti, delle metafore di calma e pensieri ordinati.”

“Come parli? Non sei mica qui per scrivere il Tao della Meditazione.”

“Non hai mai letto il Tao.”

“Nemmeno tu.”

“E allora non parliamone.”

“Va bene, ma ci siamo capiti almeno?”

“Si ma anche in questo caso, Gesù, intuisco cosa fai per dire, però perché ti fanno proprio così schifo?”

“Fanno schifo per come sono scritti, non c’è cura, non c’è maturazione. Inoltre secondo me è meglio se non diventi una specie di monaco che scrive cose sagge.”

“Ma cosa centrano i monaci adesso?”

“Dico solo che a me non torna in tasca niente di reale nel leggere di uno che ha amato una donna e non l’ha mai nemmeno fatta ridere, o salutata o che ne so. Ma perché, mi chiedo io? Perché un grande amante non avrebbe mai avuto una storia d’amore?”

“Perché capisce il valore profondo del dosaggio, del non-spreco, della sincerità di ogni piccolo atto, di ogni piccolo gesto.”

“Capisco, è profondo, il concetto è profondo, ma devi tradurlo in un racconto decifrabile, roba concreta e non dottrinale, se no sembri psicotico anche tu.”

“Magari lo sono.”

“Non è possibile, hai 33 anni, se tu avessi una struttura di personalità psicotica sarebbe già venuta fuori del tutto.

“E tu cosa ne vuoi sapere?”

“Io sono stato un ipocondriaco ossessivo per anni. So tutto sulle malattie.”

“Ok, mi fido.”

“Ma perché cerchi di creare questi personaggi assoluti e puri?”

“Mah, così su due piedi non saprei rispondere, però se ci pensi: gli scrittori famosi, gli attori di teatro, gli scultori, i pittori eccetera, sono giudicati da tutti solo per i loro risultati, per quello che alla fine di un percorso arrivano a presentare, come se quel risultato rappresentasse tutta la loro vita, il loro modo di essere. Appaiono come persone totalmente integre, pure, ma è chiaro che è tutta un’illusione.”

“Ma non è sempre così. Quando uno è un coglione poi salta fuori. Steven Seagal si è presentato per tutta la vita come il giustiziere paladino della rettitudine e della lucidità mentale, ma ha ucciso la moglie.”

“Guarda che non è morta. La menava, questo sì, ma si fermava giusto un momento prima di ucciderla, perché conosceva certe tecniche. E comunque Steven Seagal non era un artista.”

“Sei tu che hai fatto l’esempio degli attori.”

“Ma Steven Seagal non era nemmeno un attore, da su.”

“Questo te lo concedo.”

“Sto solo cercando di sostenere che l’incoerenza umana è di tutti, anche dei premi Nobel e Pulitzer.”

“Ma non del tuo scrittore indiano, giusto?”

“Già. E nemmeno dell’amante casto. Loro sono estremamente coerenti, mai ambigui, né contradditori.”

“Non hanno tentazioni?”

“Non le hanno.”

“Mah. Senti, hai scritto altre cose?”

“Non la leggi quella del grande amante casto?”

“No, ora non mi va. Non penso che ne avrò mai voglia, scusa.”

“Ok, se vuoi c’è quella del più grande comunicatore di tutti i tempi.”

“Addirittura. Lasciami indovinare: disabile grave?”

“Era muto.”

“Non mi va di leggerla.”

“Eh, vabbè, va così. Non ho il tuo sostegno.”

“Ma perché dico io? Mi fai incazzare guarda.”

“Ho anche scritto quella del più grande viaggiatore di sempre.”

“Che non si è mai alzato dal cesso della sua grotta scavata in una miniera di piombo?”

“Che non è mai uscito dal suo Dojo di arti marziali.”

“Pure maestro di Kung-Fu! Andiamo bene.”

“Sfotti pure. Ma sai che secondo me se uno ama davvero la scrittura non deve deturparla. Solo che più scrive e più rischia di deturparla. Se uno ama la natura secondo me è giusto che quasi non ci metta piede.”

“E perché sei così estremo? Se io scrivo merda e me la tengo in un cassetto, dov’è il problema? E poi non confondere quello che stai vivendo tu, con quello che fanno gli altri. C’è chi scrive benissimo e la scrittura la innalza.”

“Il fatto è che il genere umano distrugge ciò che ama e la felicità quando l’hai raggiunta l’hai persa. Pensaci bene. Il desiderio genera felicità, il suo esaudimento la spegne.”

“Ok Platone, ma dimmi cosa cambia se uno scrive qualcosa per sé? Cos’è, adesso mi vieni a dire che la scrittura è un’entità sacra e scrivere robe scarse è tipo bestemmiare? Ma poi tu bestemmi pure, e pure pesantemente.”

“Magari è così, magari dovremmo essere tutti più calmi e saggi, realizzarci di meno, inseguire molto meno quelle che crediamo essere le nostre necessità.”

“Dunque i personaggi dei tuoi – mini Psycho-trip – sono talmente lucidi ed etici che non cedono al perseguimento della felicità?”

“Forse, più o meno, non saprei.”

“Però dopo un po’ rompe il sta formula.”

“Non lo so, dipende.”

“Mah, sarà che ultimamente ti va di buttar giù certe cose, non so cosa hai vissuto in questi mesi. Me ne vuoi parlare?”

“Mah, nulla, in generale viviamo troppo di tutto, no? Bombardati di esperienze, siamo. Sempre troppi stimoli, sempre troppi bisogni, abbiamo.”

“Troppa birra: ecco quello che ci vuole. Ne bevi un’altra?”

“Si, grazie amico.”